Goju Ryu Karate Do

 

Le due correnti: Shōrin e Shōrei

         Il karate a Okinawa nel secolo XIX               

La classificazione dei kata:
kihon-gata, kaishu-gata e heishu-gata

I 12 kata della scuola Gōjū-ryū sono spesso classificati in tre categorie: kihon-gata, kaishu-gata e heishu-gata.
Kihon-gata designa un kata di base. La scuola ne conta uno: il kata Sanchin.
Kaishu-gata vuol dire: "kata a mano aperta". La scuola ne conta dieci: i due Gekisai, Saifa, Seienchin, Shisōchin, Sansērū, Sēsan, Sēpai, Kururunfa e Sūpārimpē.
Heishu-gata vuol dire:"kata a mano chiusa". La scuola ne conta uno: il kata Tenshō.
Kaishu indica la mano aperta e Heishu la mano chiusa. Questi due termini sono utilizzati in questo senso in tutte le scuole di karate. Per questo il primo significato delle espressioni kaishu-gata e heishu-gata è:"kata eseguito con le mani aperte" e "con le mani chiuse". Tuttavia, i dieci kata classificati kaishu-gata e il kata Tenshō, classificato heishu-gata, sono tutti eseguiti talvota a mani aperte, talvolta a mani chiuse. Per di più la particolarità del Tenshō consiste nelle tecniche a mano aperta. Perché allora è classificato heishu-gata (kata a mano chiusa)?
Si possono consultare a questo proposito cinque opere della scuola Gōjū-ryū.
I primi due autori, Kuranosuke Kimura ed Eiichi Miyasato, classificano il kata Tenshō nella categoria dell’heishu-gata, e non danno precisazioni sul senso di kaishu-gata e di heishu-gata. Gli altri due classificano il kata Tenshō nella categoria kaishu-gata. Il quinto non propone classificazioni, ma si interroga sul significato dei due termini.
Yishihiro Urakawa scrive: "Il maestro Chōjun Miyagi ha composto il kata Tenshō a partire dalla studio di un kata cinese chiamato Rokkishu. Egli considera questo kata come il kata di base per studiare la scioltezza, a complemento del kata Sanchin che è il kata di base per studiare la forza. Il kata Tenshō è eseguito a mani aperte, si tratta di un kaishu-gata tipico..."
Morio Higaonna scrive:"Questo kata si situa, come il kata Sanchin, nella categoria dei kata di rafforzamento (kaishu-gata). Inizialmente questo kata veniva chiamato Rokkishu, poiché è stato composto a partire da quest’ultimo, che è trasmesso in Cina; in seguito, per sottolineare la sua specificità, ha ricevuto il nome di "Tenshō", che significa "girare la mano"..."
I quattro autori sono tutti dei maestri della scuola Gōjū-ryū. Per i primi due, il kata Tenshō è un heishu-gata, per gli ultimi due è un kaishu-gata. Perché questa divergenza? Perché i termini kaishu e heishu sono stati utilizzati senza una definizione precisa. Si tratta di una confusione che proviene dall’ambiguità di terminologia del karate di questa scuola.
Kenwa Mabuni, amico di Chojun Miyagi, scrive:
"Molte tecniche di difesa e di attacco si combinano per costituire il kaishu, e le traiettorie di questi kata sono svariate. Con l’aiuto di questi kata possiamo imparare il principio del passaggio dalla tensione al rilassamento nei cambiamenti di movimenti, cosa che permette di dispiegare efficacemente l’energia vitale e la forza fisica. E’ questo l’obiettivo di questa tecnica. Esistono una trentina di specie di kaishu-gata..."
La sua spiegazione fu dunque appello a un’altra nozione.
Se il termine kaishu significa semplicemente "mano aperta", e heishu "mano chiusa", seguendo il senso abituale, il kata Tenshō dev’essere piuttosto classificato come kaishu-gata, poiché l’essenziale di questo kata consiste in una tecnica morbida a mani aperte. Ma i primi due autori pongono questo kata negli heishu-gata (kata a mano chiusa); questo termine deve avere un altro significato, benché né l’uno né l’altro lo spieghino. Essi non lo precisano, sia intenzionalmente sia perché non lo possono, non avendo essi stessi capito il significato di questo termine, riprendono quindi i termini utilizzati da Chojun Miyagi lasciandoli ambigui. Non è una testimonianza delle ambiguità della trasmissione del karate, e anche forse di un’insufficienza di elaborazione teorica da parte del fondatore? Non è una delle prove che il karate è stato codificato troppo velocemente a causa delle necessità di diffusione, senza che il fondatore della scuola potesse esaminare la terminologia della propria arte? L’istituzionalizzazione rapida del karate ha impedito un esame approfondito del suo contenuto tecnico e pedagogico, cosa che ha prodotto una sorta di sacralizzazione dei maestri fondatori, l’eredità dei quali è stata posta al di fuori di ogni critica.
Torniamo all’esame di termini kaishu e heishu. Secondo Tadahiko Ōtsuka, maestro di karate della scuola Gōjū-ryū, il termine kaishu non significa "mano aperta", ma "aprire una tecnica". Si ricorda che il termine te, mano, significa anche "tecnica" (es. Shuri-te, Naha-te, Tomari-te), e che la denominazione più antica del karate era semplicemente te, de o dei. Kaishu significa quindi "aprire la tecnica". La parola kai, aprire, ha il senso di aprirsi, vale a dire iniziarsi (a un’arte). Kaishu-gata significa quindi:"il kata che inizia alle tecniche". Si tratta di un kata che, una volta superata una prima tappa, vi dà un’apertura verso l’elaborazione tecnica. Avanzando nella tappa superiore, dovrete trovare un senso e un modo personale di eseguire ogni tecnica del kata, al fine di ottenere una migliore efficacia. In qualche modo il kaishu-gata vi invita a diventare l’autore del kata personale.
Quando avete approfondito lo studio e la pratica di un kata, e siete arrivati a eseguire un kata alla vostra personale maniera, siete arrivati all’heishu-gata: il kata la cui elaborazione tecnica è realizzata o terminata. Effettivamente il verbo chiudere - hei - ha anche il senso di "terminare". Secondo questa interpretazione, tutti i kata sono inizialmente kaishu-gata e hanno vocazione a divenire heishu-gata.
Si è constatata una confusione nella comprensione dei due termini kaishu e heishu tra i maestri contemporanei della scuola Gōjū-ryū. Questa confusione nasce da una mancanza di rigore nella definizione dei termini che ha impiegato Chojun Miyagi. Tuttavia, quest’ultimo ha lanciato un’idea conduttrice per il lavoro dei kata, utilizzando questi due termini, e bisogna dire che questo era unico nell’ambito del karate. Se la definizione era insufficiente, l’idea era innovativa. E’ un peccato che i suoi allievi non abbiano continuato l’elaborazione con la scioltezza di pensiero del fondatore, lasciando che la sua realizzazione si irrigidisse.
Questa idea è innovativa, poiché nessun altro maestro ha chiaramente indicato l’esistenza di due modalità per i kata: modello e riferimento di apprendistato da una parte, elaborazione e modello tecnico personalizzato dall’altra. Tuttavia, l’idea era implicitamente presente nel karate classico, in cui un adepto doveva costruire il proprio karate personale basandosi su un piccolissimo numero di kata. Questa attitudine si imponeva all’evidenza per i karateka di un tempo. Con lo sviluppo del karate, nel secolo XX, comincia a essere insegnato un gran numero di kata, ma con un’attitudine più rigida, a tal punto che non apportare alcuna modifica ai kata diventa un’evidenza per il karateka che rispetta la tradizione. Nel karate, che sia "marziale" o "sportivo", la tendenza generale sarà ormai lo sviluppo di un modello rigido del kata, cosa di cui non si può non rammaricarsi, ai fini dell’arte.
La tendenza dominante del karate è di uniformare i kata, il che facilita il compito dei giudici quando i competitori sono numerosi. I progressi nel karate vi sono concepiti a partire dall’immagine dell’uniformità dei praticanti. Oggi il modo di apprezzare la qualità dell’esecuzione dei kata è divenuto, nella maggior parte dei casi, rigido, e si è istituzionalizzato. Studiando la storia del karate, possiamo renderci conto quanto questa idea, oggi spesso concepita come un progresso, si parziale quando la si paragoni alle idee e alla volontà iniziali dei maestri fondatori di ogni scuola. Dobbiamo riflettere sulla frase di Chojun Miyagi:
"Il significato di un kata è ciò che dobbiamo comprendere e vivere - ognuno di noi - attraverso il nostro senso dell’arte marziale e le nostre capacità".

 

I kata del Gōjū-ryū

 

La scuola Gōjū-ryū - dal Naha-te al Gōjū-ryū: Kanryō Higaonna (1853-1915)

 

La classificazione dei kata

 

La fondazione del Gōjū-ryū: Chōjun Miyagi (1888-1953)

 

 

Le qualità del Gōjū-ryū e le critiche che gli sono mosse

   

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